(Gorla, Milano, 1839 - Milano 1875) scrittore italiano. Nato da famiglia agiata, in gioventù viaggiò a lungo per l’Europa, fermandosi soprattutto a Parigi. Di tali viaggi lasciò un resoconto in forma di diario in Schizzi a penna (1865). Cominciò ad affermarsi precocemente, sia come pittore, sia come poeta (Tavolozza, 1862). Morto il padre e dissestatasi l’azienda familiare, non seppe adattarsi a un lavoro regolare e si diede all’alcool e a una vita disordinata; morì in miseria appena trentaseienne. Aveva pubblicato altre due raccolte di versi, Penombre (1864) e Fiabe e leggende (1867); postumo uscì il volume Trasparenze (1878). Tra le sue opere in prosa la più notevole è il romanzo Le memorie del presbiterio (incompiuto, ultimato dall’amico R. Sacchetti e pubblicato nel 1881), che nella struttura narrativa assai libera (una serie di racconti nel racconto, ordinati sul ritmo irregolare della memoria) serba una vivace impronta sperimentale.Tutta l’opera di P. presenta qualcosa di acerbo e di irrisolto, inquadrandosi in quel moto confusamente rivoluzionario e antiborghese, che fu la scapigliatura. Nei versi di Tavolozza la ricerca del «vero», sconfinante talora nel bozzettismo, contrasta con alcuni motivi orgiastici e «maledetti», ma è interessante l’introduzione di moduli dimessi e colloquiali che anticipano lo stile di V. Betteloni e di G. Gozzano. Satanismo, sforzo parossistico di infrangere le regole morali e artistiche della società contemporanea trionfano in Penombre, dove la sperimentazione linguistica tocca i risultati più originali, rovesciando le forme culte della tradizione in una miscela ribollente di crudezze plebee, sostanzialmente in linea con certo realismo espressionistico lombardo. La tensione demistificatoria, già compromessa in Fiabe e leggende, si allenta e si dissolve nelle postume Trasparenze, pervase da un’ansia d’innocenza, di affetti tranquilli e domestici.